ATTUALITA’ DEL MITO DI FAUST
PHILLIP JOHNSTON'S FAUST PROJEC /
Fandango Jazz Festival 2004
Phillip Johnston - sassofoni, pianoforte
Kate Sullivan - voce
Guy Klucevsek - fisarmonica
Thomas Ulrich - violoncello
Kate Sullivan - voce
Guy Klucevsek - fisarmonica
Sul palco scorrono le immagini del Faust di Murnau, i musicisti interagiscono: colonna sonora dal vivo, stacchi in cui le immagini parlano in silenzio. Nell'attimo sospeso, momento tra una danza e l'altra in un musical, effetto teatrale di straniamento, l'impressione è di due mondi: uno il film con la forza delle immagini, l’altro i musicisti. Dualità che si sommano a quelle del film; bene/male, terreno/ultraterreno, pulsioni interiori negative/positive, per lasciarsi trasportare dalla musica, da una rilettura personale che colora la storia di Faust di suoni jazz e blues, ora ossessiva e ripetitiva, ora lirica e giocosa, mai cupa o tragica: non siamo più in Europa, in Germania, agli inizi del novecento, né alle soglie del nazismo. Resta la solitudine, l'inquietudine dell'individuo Faust che, più che tra lande desolate, sembra aggirarsi in moderne strade metropolitane, simili a quelle in cui esuli come Weill e lo stesso Murnau potrebbero essersi aggirati; Faust ultimo film girato da Murnau in Germania, prima dell’approdo a Hollywood.
Mago e alchimista del mito e del film, impotente di fronte al mortifero dilagare della peste, per il bene della collettività Faust scende a patti con il diavolo. Bonario Mefistofele placa l'epidemia, sfodera le sue arti: imbroglia, fa breccia nell'intimo dello scienziato con la lusinga della ritrovata giovinezza, pronto a cogliere la sua anima. Faust rinvigorito, dimenticherà presto l’amore per Margherita, che da lui aspetta un figlio: la ragazza madre vedrà morire il figlio, subirà l'accusa di stregoneria, sarà messa sul rogo, dove con un filo di speranza continuerà ad invocare il nome dell'amato. Vecchio e pentito Faust arriva in tempo per dichiarare il suo amore: parola "magica " che gli salverà non la vita ma l'anima.
Opera realizzata in epoca di sperimentazioni: l'immagine in movimento si avventurava in territori tutti da scoprire. Innovatore, creatore di linguaggio, Murnau mette in campo ogni sforzo (fotografia, scenografia, recitazione, luci, inquadratura, movimento, montaggio) per rendere il cinema arte autonoma. Il film anche se muto, "doveva parlare".
Il progetto di Johnston, sorta di ponte, ora esaltando aspetti vivi ora lasciando alle spalle i meno attuali, aggiunge altre "parole". La musica riprende, si insinua tra le pieghe delle inquadrature, ne coglie gli spunti, si individuiamo momenti di felice incontro: in un martellare incalzante del dubbio ( il fraseggio degli archi) mentre segue il mago nel tormento interiore; o in una corsa frenetica dopo la fatidica scelta e nell'attesa in cui si avverte solitudine, malinconia, il disincanto di chi si ritrova solo a sconfinare da un mondo all'altro ( il blues del sax). Momenti esaltati e impreziositi dalle canzoni ( di Hilary Bell, drammaturga moglie di Johnston), o dallo scat che sgorga dalla voce di Kate Sullivan.
Silvana Matozza, Guido Bonacci
Articolo pubblicato su" Vespertilla"- Rivista mensile di cultura e spettacolo- Anno I n° 4 Ottobre 2004