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RISCOPRENDO GIUSEPPE MAZZINI, TRA PAROLE E MUSICA

 

  Fabio Refrigeri alla chitarral'attore Marco Prosperiniil regista Emanuele Merlino in un momento dello spettacolo 

                                                         LA CHITARRA DI MAZZINI: PAROLE E MUSICA DALL’ESILIO

 

E’ il ritratto di un Mazzini  insolito,  molto più umano rispetto alla icona seriosa dei monumenti e dei libri di scuola, ma non per questo meno eroico,  quello che  si delinea e prende corpo in questo viaggio  nel tempo dell’esilio. Essenziali pennellate tra ricordi e musica, in cui tutta una vita scorre e si ricompone, il personale s’intreccia col politico, aprendo squarci di storia privata, anche intima e storia collettiva.  

In cui si  scoprirà, per esempio,  che anche il fondatore della Giovine Italia è stato un bambino (  Benigni, in un recente spettacolo, scherzosamente  lo negava), dal carattere ostinato e  con un gruppo di amici intorno, che lo prendeva in giro per il suo desiderio di suonare la chitarra. E  sorprenderà, forse,  il tono autoironico  da lui usato per descriversi mentre combatte con lo strumento cercando di evitare stonature, assillando le orecchie dei familiari, esasperando il suo severissimo insegnante. O in quanto conto avesse imparato a tenere quei piccoli successi costatigli lunghe ore di esercizi. Un allenamento probabilmente prezioso anche  per sostenere quel cammino accidentato di vita che già sedicenne andava scegliendo, con negli occhi l’immagine dei carbonari sconfitti che riparavano in Francia  per continuare la lotta per la Costituzione.

La passione mai ripudiata per la musica,  appare prima di tutto come espressione di sentimento, di bisogno d’amore e tenerezza spirituale e fisica. Il primo brano Nel cor più non mi sento (di Paisiello), che Mazzini si applico ad imparare per anni, tanto che quando vi riuscì la canzone era ormai passata di moda, era proprio una canzone d’amore. Come sempre d’amore   vagheggerà nei suoi ricordi per quell’Adelaide ( Zoagli, futura madre di Mameli) compagna della gioventù, di ideali rivoluzionari e di esecuzioni musicali.

Una musica, profumo dell’universo, eco del mondo invisibile della quale si farà sacerdote, approfondendone studi critici e teorizzazione intellettuale; dall’importanza che ad essa attribuivano gli antichi, ponendola vicino al legislatore e alla religione,  all’esaltazione di un Rossini compendiatore romantico, e nell’attesa di quell’Ignoto Numini, quel genio innovatore, capace di interpretare l’era nuova, al quale è dedicata la sua Filosofia della musica (1836). Testo fondamentale per la comprensione della concezione artistica mazziniana della musica,  che sarà anche il filo conduttore di questo spettacolo. Canto di una aspirazione comune, per un’Italia libera, unita e  repubblicana, che attraverserà la tempesta del dubbio ( così lo stesso Mazzini definì il proprio periodo di crisi profonda di fronte alle sconfitte), per approdare a una sorta di nuovo inizio, di una vita che definitivamente diventerà missione.

Con una fedele chitarra alla quale l’esule affiderà anche le proprie nostalgie, per Adelaide andata sposa ad un ufficiale piemontese, per i compagni caduti… da solo, nel buio della sua stanza.

E davvero molti sono ancora gli stimoli che con naturalezza si susseguono in questo teatro-concerto, dalle suggestioni sonore della chitarra acustica del bravo Fabio Refrigeri ai toni di concitazione, sconforto e vagheggiamenti di una vita, ben restituiti dalla recitazione di  Marco Prosperini. Come in una sola voce, coi due interpreti in nero ( inevitabile l’analogia con un Mazzini in lutto per la Patria che vestiva appunto sempre di nero), in un’interazione che sa farsi rigore e nostalgia, mentre scandisce e puntualizza (particolarmente suggestiva l’interpretazione del duetto dal Metodo per chitarra, di Carulli che suggella la chiusura)

Preziosi, anche i dettagli forniti al pubblico dall’ autore e regista dello spettacolo Emanuele Merlino, con la significativa chiusura su quell’ultimo ritorno in Italia di un Mazzini a un anno dalla propria morte, fiaccato nel corpo ma non nell’amore per la Patria che intravedeva. Quando al San Gottardo, in carrozza, sotto mentite spoglie, come un qualunque Mr. Brown, si troverà a parlare dell’Italia a venire con il giovane Nietzsche  e la sorella, e in risposta a tanto entusiasmo Elisabeth gli declamerà i versi di quel Byron che solca e scava, a lui tanto caro.

Un evento pensato per il 150 esimo, proposta tra approfondimento storico, divulgazione e spettacolo, da cui emerge una figura morale di uomo e patriota che non smette mai di combattere per la propria fede e che, come spiegherà  Merlino,  vuol essere anche  un momento di riflessione per il presente, per i giovani, nel confronto col passato. In quella chiave di lettura antiretorica che suggeriva anche la stimolante esposizione romana, Mazzini e la musica al Museo Napoleonico.

Mentre la Biblioteca, seppur con gli evidenti limiti di spazio per soluzioni scenografiche,  si rivela una  scelta di location quanto mai pertinente, per i rimandi all’intera vita dell’uomo politico e intellettuale a 360 gradi quale fu Giuseppe Mazzini. Dalle sollecitazioni a ricercare, a togliere dalla polvere degli scaffali i libri capaci di parlare della variegata realtà musicale della penisola, agli intensi  studi in biblioteca durante l’esilio londinese, ai libri a lui cari, alla sua stessa attività di scrittore, nonché fondatore incessante di riviste sempre precarie, e ancora, alla prioritaria importanza che attribuiva alla cultura,  all’educazione del popolo per l’ affrancamento dall’ignoranza, l’acquisizione di coscienza critica e partecipazione attiva alla conduzione della nuova Italia e, non ultimo, sempre al periodo londinese, in cui egli stesso si fece insegnante  per i bambini poveri italiani. Notte dei musei, Biblioteca Enzo Tortora, Roma 2011.

 

 

Silvana Matozza, Guido Bonacci

2 Giugno 2011 h. 18.57                                                                                                 

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