logo sito Impressioni JazzCON MARIO INCUDINE IN TRIO, IL 1° MAGGIO, ALL’AUDITORIUM

Mario Incudine in trio, all'Auditorium

                                                                                                                                  

BEDDU GARIBBARDI – Quando ancora i siciliani non erano italiani

  

Già nel titolo è suggellata la chiave di lettura  di quest’ultimo lavoro di Mario Incudine, sulle tracce di una ragione e di un sentimento popolare intorno alla figura di Garibaldi in Sicilia. In quel BEDDU GARIBBARDI, che col semplice cambiamento d’una sfumatura di tono, dall’entusiastico al sarcastico,  può far volgere la speranza in disillusione.

Ambiguità di un’interpretazione duplice, per nulla fine a sé stessa, ma sottile sintesi di due fasi cronologicamente ben distinte: la fiaba e la realtà, come le definirà lo stesso eclettico musicista, che di questo percorso ci proporrà significativi cunti. Dall’attesa all’arrivo dei Mille. Di un Garibaldi, coloritamente dipinto come eroe invincibile, un Orlando del teatro dei Pupi ( in quell’epoca la marionetta con il viso di Garibaldi fu effettivamente messa in scena), quasi invulnerabile: come nel canto A battaglia di Milazzu, dove il generale affronta il comandante borbonico in singolar tenzone e nni fici minnitta ( ne fece poltiglia); amato dalle donne, sorta di semidio che il popolo faceva a gara per ospitare, per toccare il suo viso barbuto come fosse un santo. Anche perché i siciliani erano stati conviti, con una sapiente opera di propaganda condotta dal filo-unitario Crispi, che il trionfatore avrebbe e portato la libertà e sconfitto la loro povertà. Ovvero, per dirla con Camilleri, che con Garibaldi, veramente ci sarebbe stata una rivoluzione sociale. E uomini, e non solo,  presero “l’armi”, come il suggestivo Peppa a Cannunera vuole ricordare, rendendo tributo alla leggendaria donna di Barcellona Pozzo di Gotto. L’impavida che nell’insurrezione catanese, tempestivamente scaricò una prima cannonata, con astuzia e da sola,  si riconquistò, poi,  il cannone nemico, per tornare ad accendere la miccia  contro i borboni…

Dopo quell’11 maggio 1860 dello sbarco a Marsala, tuttavia, concretezza di guerra e ragioni politiche, segneranno presto lo spartiacque.

Le terre al popolo che si è ribellato ai borboni rimangono una promessa (ovvero, ebbero qualcosa del demanio ma il latifondo rimase tale!), rimane l’esosa tassa sul macinato, arrivano tassa di guerra, leva obbligatoria che costringe i figli maschi a 7 anni  di lontananza, privando del loro lavoro le famiglie. Tanto luttuoso era l’evento di quelle  partenze che i parenti per l’occasione si vestivano a lutto, mentre del nuovo sovrano si cantava Vittoriu Emanueli l’assassinu… E fatti drammatici e tragici  velocemente spensero qualsiasi entusiasmo. Come l’emblematico caso di Bronte. Meno di una notizia, o nulla,  nei libri di storia, che Verga portò alla ribalta non solo letteraria, con la novella Libertà, dalla quale Vancini, col suo illuminante Bronte. Cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato, trasse ispirazione (con Sciascia tra gli sceneggatori). Che anche l’impegnato musicista ennese non mancherà di ricordare, con quell’incisivo cunto Libertà, (ispirato, forse alla novella stessa?!) che restituisce verità storica, dalla  prospettiva di quel popolo sempre  speranzoso di una fine della miseria.

Poetiche pagine di storia orale del popolo siciliano che rivivono e si affiancano a storie trascurate e/o dimenticate dalla storia ufficiale. E che ben testimoniano quanto il sentimento popolare verso Garibaldi e i garibaldini fosse ormai, velocemente e definitivamente, mutato. Vale ancora ricordare il sottile A munita di carta …, che non fa più scruscio, e poco vale; nonché  quell’ironico canto moderno di cui Incudine è autore, in cui si narra dell’unico immaginario paese che non ha mai ospitato Garibaldi, che non può vantare targhe commemorative,  e ne va fiero. Ovvero, all’ironia e al sarcasmo, il compito di stemperare una disillusione che rimane cocente.

Di questo e molto altro dà cunto il novello cantastorie ennese, già con importanti successi alle spalle, presentando il suo disco.  Frutto di una ricerca decisa nell’occasione del 150 esimo, unica nel suo genere, , che affonda nelle radici culturali del popolo siciliano, delle quali si rintraccia documentazione di testi poetici, ma non di partiture musicali. E sarà nel segno del rispetto della tradizione che, colmando questa lacuna, Incudine riuscirà a recuperare e a far rivivere l’anima di tutto un popolo, di quell’epoca appassionata e dolorosa quando ancora i siciliani non erano italiani. Con grande espressività, appassionato e appassionante, mettendo voce e corpo al servizio della parola, esaltandone ritmo, sfumature e accenti (nei recitati, non sempre comprensibili, purtroppo,  per chi non conosce il dialetto). Nel duplice non facile registro della leggerezza e del dramma, accompagnandosi con la chitarra battente, con la complicità valorizzante, o in a solo, della zampogna di Antonio Vasta (che insieme ad Incudine cura anche le musiche) e l’ispirata intensa voce di Eleonora Bordonaro.

Una prova che ci appare molto ben riuscita, a giudicare dal gradimento e dalla partecipazione del pubblico che affollava la piccola sala dell’Auditorium Parco della Musica, di Roma. Un concerto – lezione coinvolgente, il tempo vola e quasi con rammarico il pubblico s’avvia all’uscita. Nella giornata del primo maggio, in un’ interessante sintonia con  la festa dei lavoratori.

                                                                     Auditorium Parco della Musica

  

Silvana Matozza, Guido Bonacci

Impressioni Jazz -16.05. 2011 - h. 20.57

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