Impressioni Jazz " Red road " (2006) di Andrea Arnold Recensione
Vite al monitor
RED ROAD
Film plumbeo, col sorriso arriverà il sole. In mezzo, un travaglio interiore, un passato difficilissimo da dimenticare che di colpo viene riportato a galla, in un presente in cui a fatica i giorni scorrono, tutti uguali, a guardare la vita degli altri che scivola davanti a sé. E’ la quotidianità di Jakie ( Kate Dickey ), giovane donna protagonista, e punto di vista del film, operatrice del servizio di video sorveglianza e prevenzione del crimine “Occhio sulla città”. Vita bloccata, chiusa in una torre d’avorio senza scosse, finché dalla sua postazione, su uno delle decine di monitor da cui scandaglia i più periferici anfratti di una Glasgow notturna e disperante (fotografia Robbie Ryan), non scorge un uomo, Clyde ( Tony Curran), che non avrebbe mai più voluto rivedere. E nonostante il sentimento sia reciproco, non potrà evitare di interessarsi di nuovo a lui, e a un’altra torre, asettico alveare di dispersa umanità in cui vive, uno dei palazzoni di venti piani, solcato da verticali strisce rosse… Triller psico-sociale che tiene incollati, tra tempi dilatati, esiguità d’azione e preponderanza di silenzi. Mentre con originalità affronta il tema scottante della colpa e della responsabilità verso gli altri. Asciutto, va dritto allo scopo e, seppur all’interno di un genere, sconta solo in dirittura d’arrivo un minimo di prevedibilità. Ma si continua a percepirlo come un film utile, che rimane impresso e tocca in profondità. Perché fa respirare una sana aria di verità. Tanto più evidente per chi dall’angolo Italia è assuefatto alle richieste di perdono in diretta introdotte dai media, senza il necessario pedaggio al tempo della comprensione. Non s’avverte nulla di scontato. La brava regista e sceneggiatrice mette sotto gli occhi dello spettatore ancora un’altra violenza: la folla dimessa delle strade, diseredata, che vive ai margini della città; disperazioni silenziose e solitudini che sembrano contare al massimo sull’ affetto dei cani ( grandi co-protagonisti), o sull’incerta ventura di un bigliettino d’annunci lasciato in bacheca… Regia solida e complessa che sin dall’inizio tenta di confondere, poi lancia segnali, che subito svela, in un gioco di carte quasi scoperte. E sempre col fiato sul collo della protagonista, che egregiamente sostiene una preponderanza di primi piani. Film che richiama La finestra sul cortile di Hitchcock, il lucido rigore di Ken Loach e un rosselliniano senso di implacabilità della vita. Talento già acclamato per il corto Wasp (Oscar 2003), con questo primo lungometraggio, parte di una trilogia con regole stile Dogma 95 ( Advance Party), assegnata da Sigma Film e Zentropa, di Lars Von Trier, ad altrettanti registi, Andrea Arnold si aggiudica il premio della Gran Giuria di Cannes.
Silvana Matozza
Articolo pubblicato sulla rivista cultura e spettacolo Vespertilla, anno IV n. 3 maggio/giugno 2007