Impressioni Jazz            " Young Yakuza "    (2007)    di   Jean Pierre Limosin          Recensione                                                                                                                                                                                                                                                                               VITA DA YAKUZA                                      logo Impressioni Jazz il film di J.P.Limosin, Fuori concorso all’Asian film festival 2007Il boss yakuza M. Kumagai nel film di Jean Pierre Limosinlocandina del film di J.P. Limosin

                                                                      YOUNG  YAKUZA

Scene come tanti vagoncini, uno dietro l’altro, frazioni di tempo reale che si sommano, per rilasciare, solo alla fine,  la complessità di una originale visione sul Giappone moderno. Di Jean Pierre Limosin che dopo Toyo Eyes (‘ 98), e Takeshi Kitano L’imprevedibile ( ’99)  è tornato a girare a Tokio nell’inedita occasione di  filmare dal suo interno la separata vita della mafia giapponese, su proposta di un capo clan, ma con la clausola di non mostrarne gli aspetti illegali. Docu-fiction in cui il regista francese  con rispetto e lucidità  spalanca una porta su stanze segrete,  della quotidianità di un mondo  gerarchico, in crisi di autorevolezza, e  parallelamente traccia le coordinate per entrare in sintonia con il  diverso sentire di chi  in quel mondo ci è appena entrato per imparare il mestiere. Di forte impatto visivo, emozionale, la pellicola esplora un ambiente sconosciuto ai più, mostra corpi, rigidi, molli, massicci, tatuati,  che occupano spazi, che si genuflettono,  che ripetono tradizionali ritualità della cura del capo, dalla colazione al bagno… Spazi incassati in cui il respiro è corto. Mentre il tempo del  boss yakuza ( M. Kumagai), l’illuminato monarca, disposto a cedere brandelli di autorità per preservare  la sostanzialità rituale della forma, non è lo stesso dell’apprendista, orfano di padre, d’estrazione sociale modesta, che vediamo poco ma del quale sempre si parla.  Non troppo distanti per sotto-cultura d’origine,( la madre chiedendo al boss di prendere con sé il figlio, gli si rivolge come a un  paterno- padrone- maestro di vita )  boss e young yakuza possono incrociarsi e condividere spazi, ma ciascuno continuerà a rimanere avulso al tempo dell’altro. Il Boss convinto di doversi modernizzare,  per restare a galla, arginare l’agguerrita concorrenza interna e confermare l’antica bontà dei valori che  sponsorizza nelle  interviste; sorta di autoritratto fatto di senso morale, di giustizia, di collettività,  in suggestive sequenze notturne a tu per tu con l’intervistatore, in cui paradossalmente più esce dall’ombra e si concede,  più traspare il sospetto di  un mondo morente. All’opposto il giovane,  nella confusione di un sentire  tutto da sperimentare,  tra sbandamenti e ribaltamenti, ( in precedenza  già aveva  provato a fare lo yakuza, ma in proprio!), che apparentemente senza timone fugge la società dello ieri cercando di acchiappare l’oggi, in una resistenza disperata e disperante, che fa della notte e dei non luoghi cittadini spazi di libertà per la vita, che eleva il tempo libero a valore di  cultura Hip Hop dove la fratellanza fa da antitodo all’annientamento come persona, al  domani chissà se ci sarò.  Mostrare solo la legalità,  forse sbilancia  in simpatia verso il boss.  Ma  il film pienamente vale il rischio. Fuori concorso all’Asian film festival 2007 

Silvana Matozza

Articolo pubblicato sulla rivista di cultura e spettacolo Vespertilla, anno V   n° 1- Gennaio/Febbraio 2008

 

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