Impressioni Jazz                          " Waiting calendar" (2006)          di  Safarbeck Soliev         Recensione               

 

                                                                                                                                                                                                                                                                    

NELLA MEMORIA LA SALVEZZA DI UN POPOLO DIMENTICATOlogo Impressioni Jazz

le calendrier del l'attente (2005) di Safarbek Soliev (una scena)

 

                                     WAITING CALENDAR

 Low cost e poesia nella testa. Per un film vérité scritto, diretto, prodotto da Safarbek Soliev, regista tagiko di documentari e lungometraggi, in cui fotografia ( Zikriyo Israilov ) e montaggio ( Denis Beketov ), solidamente sostengono uno sguardo che dà corpo alla bellezza d’una natura difficile, di sfolgorante biancore, d’un respiro in sintonia con la natura, tra uomini solidali, in pace. In cui un risveglio prelude ad altri risvegli. Dell’innevato villaggio di montagna, in cui all’alba ha inizio la storia; d’una primavera a venire, caldo sole che scioglie la neve e acqua limpida ( nonché vitale energia idrica), che torna a scorrere torrentizia; del Tagikistan stesso.

Tra Uzbekistan, Kirgistan, Cina, Afganistan, la già precaria repubblica, indipendente dal ’91, dopo un quinquennio di guerra civile tra partito democratico e islamico, “ impantanata “ sulla via di passaggio all’economia di mercato, è oggi il più povero tra i paesi dell’ex URSS; con emergenza sanitaria, controllo dei confini a carico dell’esercito russo, isolamento linguistico ed etnico.

Dove va il Tagikistan? Soliev  se lo chiede incontrando il pubblico dopo la proiezione, nell’ambito del festival “Incontri con il Cinema Asiatico”. Un cammino che, citando una scena ricorrente del film, paragona a quello della jeep, con a bordo una troupe di documentaristi, che continuamente s’ingolfa nel fango e necessita d’aiuto per rimettersi in strada. Stallo, difficoltà, desiderio d’andar avanti, resi con tocco leggero nel film che vive d’essenzialità di immagini e parole, che invita a osservare e ascoltare, a “ star lì”. Nell’eremo spopolato in cui il tempo scorre a ritmi arcaici e corrente elettrica razionata; alimentato da soldi e racconti d’emigranti e dalla speranza di quelle vite bloccate in attesa di normalità; come la silente donna russa ortodossa che si stringe alla propria figlia contando i giorni che la separano dal ritorno del marito.

Film che non piace in patria, perché nomina l’innominabile, l’AIDS, mostra scomode realtà: è il regista a riferirlo, precisando che per il suo anticonformismo era altrettanto contestato anche sotto l’URSS. Ribelle, d’ironia sottile, Soliev non ha nessuna tesi da propagandare, solo il suo sguardo sulla realtà. Occhio attento che non tralascia di mostrare nuove sudditanze (politico che regala scarpe prima del comizio), in un paese che nella miseria cerca di mantenere la dignità, di non dimenticare tradizioni, origini. Quelle che il protagonista ricerca, nel suo ritorno d’una giornata al paese natio, tra la sua gente, sulla tomba del padre, una vita attraversata da un’altra rivoluzione…

                                                                                           Il regista  di Waiting Calendar (2005)                      Una scena del film girato in Tagikistan "Taqvimi intizori" (2005) di Safarbek Soliev

 

Silvana Matozza

 

Articolo pubblicati in Vespertilla. Periodico di cultura e spettacolo – Anno IV n°1 - Gennaio/ Febbraio 2007

 

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