Impressioni Jazz " Another Planet " (2008) di Ferenc Moldovanyi Recensione
A MOLDOVANYI, RIFF AWARD 2009 PER IL MIGLIOR DOCUMENTARIO
ANOTHER PLANET
Se su una prima bambina – venditrice di sigarette per strada e di notte si puň, tristemente, sorvolare, un secondo piccolo lustrascarpe tra il quotidiano via vai degli adulti necessariamente induce a riflessioni su generiche ingiustizie sociali; ma quando il numero diventa folla, una moltitudine di bambini che da un paese all’altro, in Cambogia come in Congo, o in Equador, in qualche modo cerca di sfamarsi, allora il problema esplode e la visione diventa insostenibile. Perché Another Planet (Másik bolygó) porta lo spettatore fin dentro le viscere del pianeta terra, a respirare l’aria mefitica che ne esala. Aria senza respiro fatta di miseria, violenze, fatica, desolazione e umiliazione, tra solitudine e abbandono che avvolge i personaggi delle sue sette storie. Bambini sradicati, buttati in mezzo alla cittŕ come in mezzo alla spazzatura, o alla guerra, bambine violentate e ragazzine prostitute. Macchina da presa testimone, che plana come un investigatore sui luoghi del delitto, si avvicina e osserva a fondo, lasciando che siano gli elementi della scena a parlare; gesti e volti, storie e pensieri. E forse proprio di eventi delittuosi si puň parlare per questi travet della miseria, che assolvono i loro compiti, zelanti e scrupolosi, qualunque lavoro esso sia, tra il fango come i bambini- operai della fabbrica di mattoni o tra le armi, come i bambini- soldato… Durezze di una vita incolpevole, di un destino troppo grande per essere governato, che li sovrasta e li rende testimoni attoniti della propria vita. E quel “May be this world is another planet’ hell” ( forse questo mondo č l’inferno di un altro pianeta), frase dello scrittore inglese Aldous Huxley, a cui il titolo del film si ispira, comincia ad assumere un significato sinistro. Perché insieme all’assurditŕ di una normalitŕ dei piů lontani dai profumi del progresso dei pochi e dalle ricchezze stratosferiche di alcuni, č la stessa vita del pianeta che appare morente. Lande brumose e depauperate, terra che non dŕ piů frutti, sole che non riscalda ma brucia... mentre come in un sogno, ricordo ancestrale che di tanto in tanto appare, si aprono squarci di vita ancora in sintonia con la natura, un lembo di terra messicana rispettata, antiche saggezze conservate. E il futuro del pianeta?
E’ ancora un grido d’allarme quello che l’ungherese Ferenc Moldovŕnyi, dopo Children, Kosovo 2000, lancia con questo suo bellissimo documentario, nell’anno che l’Onu dedica alla Terra. Un urlo carico di volti d’innocenza e di pietŕ che la splendida fotografia di Tibor Mŕthč fa brillare tra le incombenti armonie di Tibor Szemzo, musica ancestrale ai confini del tempo che tutto avvolge e comprende. Presentato nella giornata dedicata ai diritti umani, nell’ambito di un festival particolarmente attento quest’anno alle attivitŕ di sostegno e tutela delle vittime, donne e bambini in particolare. Un’opera che continua a ricevere riconoscimenti internazionali, di cui č auspicabile un’ adeguata distribuzione anche a livello nazionale. )
Silvana Matozza
Articolo pubblicato sulla rivista di cultura e spettacolo Vespertilla, anno VI n° 2 - Marzo/Aprile 2009