Impressioni Jazz " Ai confini del paradiso " (2007) di Fatih Akin Recensione
ISTAMBUL: UN PONTE PER INCONTRARSI
AI CONFINI DEL PARADISO
Kejat Aksu (Baki Davrak ), trentenne turco- tedesco, intellettuale riformista, docente di letteratura e storia, e semipendolare diviso tra Amburgo, dove insegna e abita, e Brema, dove vive con il padre vedovo, immigrato turco in pensione, è il personaggio principale e il punto di vista del film che ruota intorno a 6 figure, ciascuna delle quali alle prese con un forte cambiamento nella propria vita. A partire da quello di Yetel Öztürk( Nursel Kăse, l’immigrata turca, vedova e prostituta in vetrina lungo la via, che tira avanti solo per mandare i soldi alla figlia in Turchia, per mantenerla agli studi, per un futuro migliore del proprio. Un lavoro su cui, dalla sera al mattino, non potrà più contare e che la porterà a scegliere la prima soluzione che ha sottomano, accettando di andare a vivere in casa di un suo neo cliente innamorato, Alì. Un contratto verbale a tutti gli effetti in cui la donna, dietro compenso, s’impegna a soddisfare in esclusiva i bisogni di sesso ( in realtà, anche amore e compagnia ) dell’altro. Un fatto denso di significati e conseguenze che potrebbe essere di per sé già tema d’un film; invece è solo al prologo. Con momenti sinceri e istanti di verità di cui s’avverte l’importanza. Nella routine tra genitore e figlio, condivisione di cibo ma non di cultura, o nella malcelata ostilità di un affettato Kejat di fronte alla fidanzata del proprio padre, o quando i freni s’allentano, i sopiti istinti prevaricatori riaffiorano e amaramente si può constatare quanto breve sia il passo che porterà l’anziano innamorato a trattare Yetel da innamorata-luce dei suoi occhi a persona-servizio e infine proprietà a disposizione senza autonoma volontà. Il dramma arriva con la puntualità di un destino. Yetel, sorta di quasi niente ( lei stessa lo dice: è il significato del proprio nome), colpita accidentalmente con violenza da Ali, muore sul colpo. Alla giustizia tedesca il compito di fare il suo corso; il distacco generazionale e culturale di quel figlio tedesco, non violento in conflitto col proprio padre, si accentuerà; mentre un carico di dolore pendente partirà insieme a Yetel nella bara, nel suo ultimo viaggio in terra natale, sull’altra sponda. Un male che porterà anche Kejat a partire per Istanbul, a riparare in qualche modo, cercando di mandare avanti un progetto materno interrotto, come al seguito di quella bara e in una sorta di espiazione. Ancora una volta denaro in cambio di sentimenti, mediatore di sofferenze proprie e altrui, mentre ciascuno smarrisce pezzi della propria umanità. Con il figlio in terra turca, sempre più diviso, geograficamente ed interiormente, dal proprio padre, che percorre da solo la propria vita, mentre lungo sarà il cammino per prendere atto di quanto il domani segua strade proprie, o di come le singole vite apparentemente scollegate e sfuggenti per impensate strade possano un giorno anche incrociarsi . E’ il caso di tutti i personaggi di questa storia che si sfioreranno senza conoscersi, attraversando gli stessi luoghi, rincorrendosi, tra rifiuti, sensi di colpa e sacrifici. Di divisioni in divisioni che generano nuove divisioni. Tanto nella famiglia di Ali Asku quanto in quell’altra, tedesca, di Susanne Staub (Hanna Schygulla) e di Lotte ( Patrycia Ziolkowska). Rispettivamente madre, ex hippy, intellettuale borghese e progressista, e figlia, solidale e appassionata, il cui cambiamento di vita sarà segnato dall’incontro con la figlia di Yetel. Quella Ayten (Nurgül Yeşilçay), che non solo Kejak cerca. Mentre l’andare avanti porta indietro, a riprendere ciò che di importante nel passato è rimasto in sospeso. Turchia, ponte per l’oriente, ma soprattutto frontiera del nostro protagonista in viaggio di conciliazione con le parti del proprio sé diviso. Frontiera di Suzanne, dove simbolicamente incontrare sua figlia, e da cui riprendere un percorso interrotto. Temi interessanti e stimolanti, urgenti, ma che si sovrappongono senza respiro, dal personale al politico e al metafisico- religioso, inglobando condizione sociale, della donna e lotta di classe. Un tener insieme che si estende al cinema, nei richiami, sin dall’apertura, al Wenders di Land of plenty o di Paris Texas ( anche nella fotografia ), gli Anni di piombo della Von Trotta. In un meccanismo di precisione ad incastri, in cui è la vita che sembra stare stretta . Dopo la Sposa turca, Orso d’Oro a Berlino 2003 e i suoni e colori di Istanbul, nel documentario Crossing the Bridge, 2005, il regista turco-tedesco Fatih Akin ( anche sceneggiatore), grazie anche ad un cast di attori credibile, trasporta ora lo spettatore in un sofferente andirivieni di persone e memoria sul ponte che collega le due terre, cui è demandato il compito di far incontrare generazioni e culture che devono riprendere a guardarsi e a parlarsi. Premio miglior sceneggiatura Cannes 2007
Silvana Matozza
Articolo pubblicato sulla rivista di cultura e spettacolo Vespertilla, anno V n° 1- Gennaio/Febbraio 2008